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Luretta, il perfetto equilibrio tra Piacenza e il Mondo

Una cantina che ha giocato tutto sulla distinzione e che permette di avere nella carta dei vini un prodotto unico, che racconta di un territorio ancora poco conosciuto e dell’ispirazione dalla grande viticoltura d’Oltralpe.

La storia dei vini piacentini è una storia di picchi e rapide discese, di produzioni dall’antico lignaggio e di una modernità tra luci e ombre. Un territorio bistrattato dove però si possono fare grandi vini, a patto di saper andare (talvolta) controcorrente. Luretta è il nome di una valle e dell’omonimo torrente, stretta tra la val Trebbia e la Val Tidone. Un territorio di confine e di passaggio tra i Ducati, dove si svolsero nella storia cruente battaglie, dal Basso Medioevo alla Seconda Guerra Mondiale. Ecco perché sul crinale di queste colline si staglia ancora il profilo di castelli e caseforti dove l’agricoltura e la viticoltura erano un’attività consolidata. Questo accadeva anche tra le mura del Castello di Momeliano nelle cui cantine riposano i metodo classico firmati da Luretta e alcune botti per i rossi da lungo invecchiamento. 

Siamo nel Piacentino, patria insieme a parte dell’Oltrepò Pavese, di una viticoltura di grandi numeri. Il modello seguito qui è, però, completamente opposto, più simile a quello degli Chateaux francesi. Ricerca della qualità e della distinzione sono state la base dell’attività fin da quando Luretta è stata fondata, da Felice Salamini e dalla moglie Carla, sul finire degli anni Ottanta.

“Siamo partiti da poco più di un ettaro di terreno” ci racconta il figlio Lucio Salamini che oggi affianca la madre al timone dell’azienda “con un progetto ben preciso: trovare gli appezzamenti più idonei a fare i vini che avevamo in testa di fare”. La scelta fin da subito è stata netta:  produrre grandi vini dove in quel momento si facevano quasi solo numeri. Una scelta controcorrente, estremamente moderna, così come è stata pionieristica l’idea di puntare fin da subito sul biologico in anni in cui si potevano certificare al massimo i terreni (la certificazione per la cantina infatti è stata codificata solo negli anni Duemila). Quindi appezzamenti selezionati, nuovi impianti, basse rese per ettaro e vitigni funzionali a vini fino a quel momento solo immaginati. “Abbiamo piantato  Barbera e Croatina, Cabernet Sauvignon, Pinot nero, Chardonnay e Malvasia aromatica di Candia che per me, oggi, rappresenta l’anima e il futuro di questo territorio”. 

La Malvasia aromatica di Candia è, infatti, per sua natura un vitigno unico. Di lontana origine greca, fa parte dell’ampio gruppo di malvasie presenti anche solo in Italia. Questa però ha caratteristiche peculiari: si tratta di un’uva estremamente versatile capace di dare risultati di pari livello sia nella vinificazione dolce sia in quella secca dove non l’amarognolo finale diventa un più piacevole ammandorlato. La Malvasia di Candia aromatica però è anche un vino di corpo, dalla stoffa elegante, che è capace di portare vinificazione importanti. Ecco perché la scelta di Luretta di farne diverse versione: Boccadirosa, ferma e secca che al naso conserva però tutta la ricchezza degli aromatici; Le Rane, il passito che sviluppa un particolare corredo di profumi floreali, di zafferano e fiori secchi; Nevermore, la malvasia aromatica che potremmo definire eretica pur ispirandosi alla tradizione dei Vini Santi: appassimento su pianta, torchiatura lenta e quindi invecchiamento per otto anni in botti da 100 litri di rovere, ciliegio, castagno e acacia con più travasi nell’arco del tempo.

Luretta, però, negli anni ha saputo accostare il proprio nome anche alla spumantistica, partendo da uno spumante a base chardonnay che in un primo tempo era prodotto quasi solo per gli amici e oggi sfiora le centomila bottiglie: Principessa è il blanc de blancs che ha permesso di lanciare la cantina nel mondo delle bollicine d’autore. “Grazie a questa etichetta – spiega Lucio – riusciamo a far conoscere la nostra filosofia di spumantistica a un pubblico sempre più ampio che, dopo l’assaggio di Principessa, inizia a scoprire gli altri metodo classico prodotti dalla cantina” come il Pas Dosè Metodo Classico Pinot Nero – Chardonnay o, in particolare, il Metodo Classico da uve Pinot Nero in purezza  On Attend Les Invités che nelle annate migliori può dare vita al Riserva Roncolino, presente solo in formato magnum, che con i suoi otto anni di affinamento sui lieviti rappresenta il vertice della spumantistica Luretta.

Proprio questo termine, lieviti, ci introduce nel presente e, soprattutto, nel futuro della cantina, sempre seguendo come denominatore comune il fattore della distinzione: “Tutti i bianchi e alcuni rossi effettuano la fermentazione con lieviti indigeni spontanei: questo ci permette di aumentare la personalità dei nostri prodotti” spiega Lucio. Così è possibile arrivare a vini come il Selin dl’Armari, uno Chardonnay in stile Borgogna da viti allevate sulle marne calcaree di un angolo del territorio piacentino o, ancora, a rossi come il Pantera esempio perfetto della filosofia di Luretta, nato come blend di Barbera, Croatina e Cabernet Sauvignon. In pratica il punto di congiunzione tra l’anima del Gutturnio – il vino per eccellenza delle colline di Piacenza – e il Cabernet Sauvignon che questa cantina ha saputo esaltare al massimo con l’etichetta Corbeau, un vino dalla visione internazionale proveniente dal vigneto Roncolino. Pantera invece vuol essere qualcosa di ancora diverso perché ha l’ambizione di raccogliere tutte le diverse anime e la storia di questa cantina e che, a oltre trentanni di distanza dalla prima bottiglia, è ancora al vertice della produzione. 

Il Castello di Momeliano ospita parte dell’affinamento di Luretta: la pietra delle grandi sale è perfetta per il riposo di spumanti e botti. Le mura trecentesche sono un biglietto da visita ideale, raccontano la storia di un’intera vallata e di una tradizione vitivinicola. Non devono però trarre in inganno: l’innovazione, ieri come oggi, è parte del DNA di questa cantina. 


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